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Responsabilità medica: i CTU dopo la legge Gelli-Bianca

Responsabilità medica: i CTU dopo la legge Gelli-Bianco hanno assunto un nuovo peso nei processi riguardanti casi di malasanità.

La mansione del CTU prima della legge Gelli-Bianco

Affinché ad un paziente possa essere riconosciuto il danno alla salute che denuncia dinnanzi ad un tribunale, è imprescindibile una perizia medico-legale che, ovviamente, deve essere eseguita da uno specialista. È in questi casi, dunque, che il Giudice deve ricorrere a un consulente, il CTU per l'appunto, per una consulenza che in giudizio verrà considerata come prova chiave dell’esistenza del danno.

In realtà, in linea di principio, non dovrebbe essere così, in quanto la consulenza del CTU è uno strumento a disposizione del Giudice per vagliare in maniera più tecnica e scientifica gli elementi che di fatto già sono stati acquisiti grazie a quella che si definisce consulenza deducente. Però può trasformarsi in un elemento di prova definitiva quando rappresenta l’unica possibilità per la parte lesa di dimostrare le proprie ragioni e giustificare così le proprie pretese (consulenza percipiente).

Il Giudice, prima dell'entrata in vigore della legge Gelli-Bianco poteva decidere di affrontare personalmente le questioni medico-legali sottomesse alla sua decisione, possedendo la qualifica di Peritusperitorum (perito dei periti). È evidente che non era una scelta usuale da parte del Giudice valutare da solo le questioni tecnico-scientifiche, per questo ha sempre preferito affidarsi ad un consulente di fiducia dal quale ottiene le informazioni necessarie per il suo giudizio finale.

L’art. 61, comma 2, del codice di procedura civile (c.p.c.) stabilisce che il CTU e quindi anche il medico legale, devono essere scelti "normalmente" tra i professionisti iscritti negli Albi professionali. La Cassazione però, facendo leva proprio su quel ‘‘normalmente” ha sempre ritenuto non obbligatorie queste regole. Pertanto, la loro violazione non ha mai prodotto alcun effetto legale.

Il profilo del CTU dopo la legge Gelli-Bianco

Con la legge Gelli-Bianco del 2017, si profilava un gran cambiamento in quanto nell’art. 15 è stato introdotto l’obbligo del giudice di nominare sempre nei giudizi di responsabilità sanitaria, un collegio di almeno due consulenti: un medico legale e uno specialista clinico “con specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”.

Una vera e propria conquista, insomma, per i CTU professionali se non fosse per il fatto che, salvo drastiche inversioni d’opinione della Cassazione, questa norma ha ancora un valore puramente consultivo.

Secondo il giudice di merito, infatti, la scelta del consulente è riservata alla discrezione del giudice che può, dunque, nominare qualsiasi persona che reputi competente in relazione all’oggetto della causa, sottraendo la scelta perfino al sindacato di legittimità della Cassazione.

Dunque, a tutt'oggi, le normative che regolano la scelta di un consulente tecnico durante i processi per responsabilità medica si riducono a semplici orientazioni che hanno come finalità quella di facilitare da un lato la scelta che il giudice deve portare a termine e dall’altro favorire una divisione equa degli incarichi, senza, però, costituire un limite al suo potere dal momento che anche la Corte Suprema è assolutamente ferma nell’interpretare in modo elastico le norme del codice che disciplinano la scelta del CTU (artt. 61 e 445 c.p.c; artt 22 e 146 disp. att.c.p.c).

Partendo da questa interpretazione, quindi, il Giudice può nominare chi vuole senza che sia necessario “che risulti specialista in medicina legale”.

Conseguenze

Da quanto detto fino ad ora viene da sè il seguente interrogativo: in materia di nomina dei consulenti tecnici d’ufficio la Legge Gelli-Bianco ha effettivamente migliorato il sistema preesistente realizzando gli obiettivi e le finalità prefissate dal legislatore?

Di sicuro, fino a quando la nuova normativa non sarà entrata realmente in vigore in molti dei Tribunali italiani, continuerà ad essere applicata la legge precedente. Com'è altrettanto sicuro che, in assenza di adeguati correttivi, pur arrivando il pieno adeguamento all’art. 15 da parte di tutti i Tribunali, persisteranno nella realtà quotidiana differenze applicative tra le singole Corti.

Con buona pace del principio di equità.

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